L’esercito dei robot

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NICK E TESLA

L’ESERCITO DEI ROBOT UN MISTERO CON

TANTI DA ROBOT TUTTI DA COSTRUIRE

DI “SCIENCE BOB” PFLUGFELDER E STEVE HOCKENSMITH ILLUSTRAZIONI DI SCOTT GARRETT


CAPITOLO

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Nick era nel laboratorio del seminterrato e stava simulando l’attività di un vulcano usando aceto e detersivo liquido per piatti. Tesla era nel laboratorio del seminterrato e stava costruendo un razzo con aceto e bicarbonato. Anche lo zio Newt era nel laboratorio del seminterrato, intento a costruire un aspirapolvere alimentato a compost: un soffiatore di fogliame, di quelli che si utilizzano in giardino, collegato a un sacco pieno di banane marce. Dei tre esperimenti, fu l’aspirapolvere a saltare in aria.


dere, cominciò a sfrigolare e a sciogliersi, dando il tempo allo zio Newt di sospirare: “Oh, cavolo. Non di nuovo.” Nick e Tesla sapevano bene che cosa voleva dire. Posarono sul tavolo i loro becher, le provette e le pinze e si precipitarono verso la scala pericolante. Per raggiungerla era necessario procedere a zig zag, perché il laboratorio, immerso nella semioscurità, era ingombro di vecchi computer, attrezzi che nessuno

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Fortunatamente il Banana ASP9000, prima di esplo-

puliva da tempo, invenzioni abbandonate (uno skateboard con propulsione a razzo, per esempio, o un distributore di gomme da masticare pieno di pesci rossi) e lungo tutte le pareti c’erano marchingegni misteriosi che ronzavano e vibravano, emettendo suoni metallici. Alcuni degli apparecchi erano un po’ bruciacchiati. Tutti quanti erano coperti di fuliggine. “Vieni, zio Newt!” gridò Nick, mentre saliva di corsa le scale insieme a sua sorella. Lo zio Newt era un po’ sbadato: con l’aspirapolvere sul punto di esplodere, era meglio ricordargli che doveva fuggire. “Proprio non capisco” disse, alzandosi controvoglia dal suo caotico tavolo da lavoro per seguire i nipoti.

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“Avevo trovato il mix perfetto di ossigeno e metano.” “Lo hai detto anche l’ultima volta” fece notare Tesla. “Lo so. Era perfetto anche allora.” Nick e Tesla raggiunsero il pianerottolo in cima alle scale e, quando si voltarono, videro lo zio che arrancava lentamente dietro di loro. “Ehm, zio Newt?” disse Nick. “Che cosa ne dici di accelerare un po’ il passo?” Lo zio Newt fece un gesto noncurante con la mano. “Oh, mi rimangono almeno cinque secondi per allontanarmi. Forse perfino sei. Beh, adesso quattro.” I due gemelli si rifugiarono in cucina e lui li seguì senza alcuna fretta, tranquillo e rilassato. “Due” disse, scandendo il conto alla rovescia. “Uno.” Nick, Tesla e lo zio Newt rimasero immobili per un secondo, fissandosi negli occhi, in attesa dell’esplosione che fece tremare tutta la casa. “Visto?” disse lo zio Newt. “C’era un sacco di tempo.” Dal laboratorio cominciò a salire il fumo. Puzzava come cento torte di crema alla banana lasciate sotto il sole nella discarica comunale. “Che schifo” disse lo zio Newt, storcendo la bocca e tappandosi il naso. “Anche peggio del solito. Andia-

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mocene!”


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Guidò i ragazzi verso il giardino sul retro della casa, lasciando la porta aperta per far uscire il fumo. Il gatto senza pelo dello zio Newt, Eureka, trotterellò dietro di loro, si rannicchiò sotto il portico e cominciò a leccarsi via la cenere dal sedere spelacchiato. Era una calda e luminosa giornata estiva, e uno dei vicini – un signore anziano che lo zio Newt chiamava sempre Mr. Blackwell, anche se il suo nome era Jones – stava tagliando l’erba nel prato lì accanto. Mr. Jones spense il tagliaerba e li guardò da dietro le

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lenti spesse dei suoi occhiali. “Devo chiamare di nuovo i pompieri?” disse. “No, grazie, Mr. Blackwell” gli rispose lo zio Newt. “È solo una miscela alla banana ricca di metano che reagisce all’ossigeno sprigionando un sacco di anidride carbonica e vapore acqueo.” “Oh” disse Mr. Jones, annuendo con un sorriso, anche se era chiaro che non aveva capito nemmeno una parola. “Tutto a posto, allora.” “Non si preoccupi del fumo” disse ancora lo zio Newt. “Entro un’ora si diraderà.” “Un’ora?” disse una voce. Lo zio Newt e i due gemelli si voltarono di scatto verso Julie Casserly, che li stava fissando. La vicina di casa era china nel suo giardino, a piantare una nuova aiuola di begonie per sostituire quella che (presumibilmente) era stata falciata dal tagliaerba automatico dello zio Newt un paio di settimane prima. Julie tossì con aria melodrammatica, poi puntò una paletta da giardiniere verso il fumo puzzolente che usciva a grandi volute dalla porta sul retro della casa di zio Newt. “Credi davvero che sopporterò quella roba per

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un’ora?”


entrare in casa.” Julie balzò in piedi e fece come le era stato suggerito. Ma c’era qualcosa nel modo in cui sbuffò, aggrottando la fronte e pestando i piedi mentre si allontanava, che pareva sospetto: forse non si stava rifugiando in casa solo per fuggire al fumo. “Secondo te, chi vuole chiamare?” disse Tesla. “I pompieri o la polizia?” “Tutti e due” disse Nick. “Probabilmente anche il

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“Certo che no, Julie” disse lo zio Newt. “Puoi sempre

Pentagono e la Casa Bianca.” Mr. Jones fece ripartire il tagliaerba. “Basterebbero due piccole modifiche e il tagliaerba potrebbe tagliare il prato al posto suo, Mr. Blackwell!” urlò lo zio Newt. Mr. Jones si limitò a un cenno di saluto e continuò a tagliare l’erba. Non era così sciocco da lasciare che lo zio Newt si avvicinasse alla sua attrezzatura per il giardinaggio. “Oh bene” disse lo zio Newt. “Direi che è arrivato il momento di mangiare… italiano!” “Italiano?” dissero Nick e Tesla in coro. Lo zio Newt trasse un profondo respiro, riempiendosi i polmoni di fumo.

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“Non so voi” disse, “ma ho una voglia matta di ordinare un Pollo al Vesuvio da Ranalli’s.” Nick e Tesla sbatterono le palpebre. Nessuno dei due aveva mai assaggiato un Pollo al Vesuvio, ma di una cosa erano certi: da Ranalli’s si mangiava una pizza strepitosa. “Andiamo” disse Tesla. Erano le dieci di domenica mattina, non certo l’orario più canonico per uscire a pranzo. Ma Nick e Tesla, che abitavano da quasi due settimane a casa di zio Newt, avevano ormai capito che con lui andava tutto alla rovescia. “Perfetto!” disse lo zio Newt, sollevando il colletto del camice da laboratorio per coprirsi la bocca, come se fosse una maschera. “Versate qualche litro di benzina nel serbatoio della macchina. Intanto vado a prendere il bavaglino elettronico. È un po’ che voglio testarlo in un ristorante.” S’incamminò verso la porta sul retro, da dove uscivano enormi volute di fumo nero. Tesla lo afferrò per il braccio destro. Nick per il sinistro. “Forse è meglio non tornare là dentro…” disse Tesla.

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“Potrebbe, ecco… mancarti l’aria” disse Nick.


lo osservavano ansiosi. Non avevano soltanto paura che morisse asfissiato dentro casa; erano anche terrorizzati all’idea che portasse al ristorante il bavaglino elettronico, un aggeggio studiato per insegnare ai bambini a mangiare senza sporcarsi: dava una scossa per ogni briciola che cadeva. Lo zio Newt a tavola si sporcava sempre, e non era affatto divertente sentirlo strillare ogni volta che prendeva la scossa.

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Lo zio Newt si fermò a pensarci, mentre Nick e Tesla

“Va bene. Andiamo senza bavaglino elettronico” disse alla fine. Guardò il gatto Eureka. “Tu non muoverti. Resta.” Eureka finì di leccarsi il sedere e trotterellò verso le begonie di Julie, guardandole come se avesse intenzione di mangiarle o fertilizzarle. “Alla Newtmobile!” disse lo zio Newt.

La Newtmobile era un catorcio verde e marrone, tutto ammaccato, che lo zio Newt si vantava di aver costruito combinando pezzi di una Volvo malmessa, di una jeep scartata dall’esercito e di una barca. Men-

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tre avanzavano scoppiettando lungo la strada, Nick controllava che non avessero cani alle calcagna. Lo zio Newt aveva convertito il motore diesel della macchina perché andasse a olio di frittura invece che a gasolio, e siccome spesso recuperava il carburante dai fast food – dove i titolari era ben felici di sbarazzarsi degli scarti di cucina – il tubo di scarico emanava una forte puzza di patatine fritte super-croccanti invece del classico odore di gas di scarico. Ragione per la 18

quale era assai facile avvistare un collie o uno spa-


macchina, con il guinzaglio che si agitava nel vento senza nessun proprietario all’orizzonte. Quel giorno non c’erano cani, solo uno scoiattolo testardo che riuscì a tenere il passo con la macchina per quasi un isolato. Per sua fortuna, si stancò presto e tornò a raccogliere le noci appena in tempo, pochi minuti prima che la macchina raggiungesse la Pacific Coast Highway, una strada molta affollata che collegava il quartiere dello zio Newt con il centro di

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niel o un chihuahua che sbavava correndo dietro alla

Half Moon Bay. Nick aveva temuto di dover scendere dalla macchina per fermare lo scoiattolo prima che si infilasse nel tubo di scarico andando incontro a un tragico destino. Erano questi i problemi che dovevi affrontare se abitavi con Newton Galileo Holt, altrimenti detto zio Newt. A casa sua, in Virginia, Nick non aveva mai avuto nessun problema. (O almeno così gli pareva adesso). Ma un bel giorno i suoi genitori, due scienziati che lavoravano per il governo degli Stati Uniti, avevano annunciato di punto in bianco che sarebbero partiti per l’Uzbekistan per studiare l’irrigazione della soia, e così Nick e Tesla erano stati spediti in California a trascorrere l’estate con un eccentrico zio

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inventore che conoscevano a stento. A Nick la soia non era mai piaciuta. Adesso la odiava. C’era un lato positivo, però, nella vita con uno scienziato pazzo. Anche Nick e Tesla, nel loro piccolo, erano due giovani scienziati pazzi e nel laboratorio del seminterrato si erano subito sentiti a casa. Questo, però, non bastava a compensare tutto il resto: gli amici che non avrebbero incontrato per mesi, la casa di cui sentivano nostalgia, e la mamma e il papà che si trovavano in un posto tanto lontano e isolato che non sembrava esserci nemmeno la linea telefonica. Nick e Tesla non avevano più sentito la voce dei loro genitori da quando si erano salutati due settimane prima. Una macchia rosa oscillò davanti agli occhi di Nick, mentre la voce di sua sorella diceva: “Chiama l’ambulanza, zio Newt, Nick è in coma.” Nick sbatté le palpebre, e la macchia indistinta tornò a fuoco. Tesla gli stava sventolando la mano davanti al viso. Erano fermi nel parcheggio di Ranalli’s cucina italiana, ma Nick aveva ancora lo sguardo perso nel

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vuoto, rivolto verso il lunotto dell’automobile.


“No” disse Nick. “Non sono a casa. Ma lo vorrei tanto.” Tesla abbassò la mano e rivolse a suo fratello un’occhiata comprensiva. Era più brava di lui a farsi coraggio nelle situazioni difficili – aveva molto più coraggio in generale – ma in fondo era preoccupata anche lei per il lungo silenzio dei loro genitori. “Ehi, guarda il lato positivo” disse Tesla. “Oggi facciamo colazione con la pizza.”

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“Ehi, ci sei?” disse Tesla. “C’è qualcuno in casa?”

Nick scattò verso la portiera. “Come lato positivo non è affatto male” disse. In realtà era tanto bello da essere impossibile. Ranalli’s non aveva ancora aperto. Se volevano la pizza e il Pollo al Vesuvio, sarebbero dovuti tornare un’ora dopo. “Oh, beh” disse Tesla. “In effetti era davvero troppo presto per la pizza.” “Non è mai troppo presto per la pizza” borbottò Nick. A casa di zio Newt era difficile mangiare qualcosa che non fosse uscito da un barattolo o da una scatola, e Nick era stanco di spaghetti confezionati e cereali variopinti.

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Mentre osservava sconsolato il cartello chiuso appeso alla porta di vetro del ristorante, qualcosa là dentro cominciò a muoversi. “Ehi” disse Nick, strizzando gli occhi. “Che cos’è?” Tesla e lo zio Newt si strinsero accanto a lui, per spiare l’interno del locale. “Non sarà forse…?” disse Nick. “Sì, lo è” tagliò corto lo zio Newt. “Uau” dissero Nick e Tesla in coro. C’era una piccola sagoma color argento che si muoveva accanto al registro di cassa. Un robot. Che tutt’a un tratto puntò i suoi occhietti rossi verso Nick, Tesla e lo zio Newt, ricambiando il loro sguardo stupito.

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